A FUOCO CONTINUO_
2018
Un teatro malinconico per andare avanti,
testo di Sabino Maria Frassà - Direttore Artistico di Cramum
Dario Picariello è un cantautore visivo. La sua arte nasce per raccontare una storia: sia essa una per- formance di un giorno o un intero mondo perduto, il lavoro installativo che ne scaturisce è innanzitutto narrativo, in cui il singolo scatto fotografico, per quanto sempre più pregevole dal punto di vista tecnico, perde di significato e potenza come una bella citazione estrapolata da un romanzo. Ogni opera di Dario Picariello è perciò come una pagina di una storia, una favola per adulti, dal finale spesso amaro e malinconico. A tal proposito, quanto si ritrova della malinconia del teatro napoletano nel lavoro di questo visionario artista campano! Eduardo De Filippo diceva che lo sforzo disperato che compie l’uomo nel tentativo di dare alla vita un qualsiasi significato è teatro. Non a caso nel lavoro di Picariello l’elemento favolistico si fonde con la matura inquietudine del teatro. Le maschere sempre presenti, così come le pose teatrali, le scenografie e nature morte, prevalgono sempre sui personaggi, i quali sembrano in ultima istanza muoversi come burattini nelle mani dell’artista, dello spazio e del tempo per loro creato.
L’invito dell’artista non è perciò a vedere passiva- mente delle opere, ma è un invito a teatro. È chiaro, per tale ragione, che non si dovrebbe parlare dei singoli lavori in mostra, quanto dell’allestimento proposto e fortemente premeditato dall’artista, insieme delle singole opere, dello spazio e del modo in cui sono allestite: anche una cornice ha un significato nella sua ricerca artistica. Del resto Dario Picariello lungi dall’essere un neorealista, come molti scrittori e drammaturghi contemporanei, trae spunto dalla quotidianità e dalla realtà, che poi cala nel suo mondo. La mimesi e la figurazione non interessano di per sé, ma in relazione al loro essere funzionali al significato e alla simbologia, che pervadono tutta la ricerca dell’artista e in cui si scorgono riferimenti alla sacralità e funzione sociale delle tragedie greche, così come una riproposizione dell’arte quattrocentesca toscana, con l’importanza dello spazio teatrale in cui i personaggi sono ritratti.
Tali peculiarità trovano oggi fortunata sintesi nell’ultimo racconto di Dario Picariello, A Fuoco Continuo, incentrato sulla vicenda della Fornace Guerra- Gregorj, quella di realizzare una comunità in cui la fabbrica fosse centro morale e culturale oltre che economico. La cultura e il benessere sociale dei lavoratori potevano essere aspetti non conflittuali ma complementari al ruolo dell’azienda e dell’imprenditore. A Fuoco Continuo è quindi la storia di un sogno, più che la vicenda di un industriale e del fallimento della sua azienda che portò all’abbandono del complesso produttivo.
L’installazione di Dario Picariello ci fa rivivere quel sentimento utopico, attraverso scatti che rielaborano le pose e i personaggi più famosi di Arturo Martini, artista che ha segnato un passaggio stra- ordinario nel cuore creativo della fornace Gregorj, la Sala degli Artisti. Le figure umane dell’artista campano anche in questa storia non rivelano mai il proprio volto, sempre coperto come nella tragedia greca, da maschere. I corpi si fondono e qua- si scompaiono in abbracci e pose plastiche, così come nelle opere martiniane Le Collegiali e La fa- miglia degli acrobati. A Fuoco Continuo si conclude proprio con l’immagine della Sala degli Artisti oggi, abbandonata e in rovina, ma rivissuta dall’artista grazie anche all’opera creata insieme agli studenti del Liceo Artistico Statale di Treviso. Questa è l’unica opera incorniciata, appesa a parete al di là dell’allestimento centrale, perché è la foto che conclude questa storia. La Fornace cessa la sua produzione nel 1963 e, sebbene il complesso sia dichiarato testimonianza preziosa di un vecchio mondo in via di sparizione già nel 1987, versa oggi in uno stato di grave degrado. All’artista e a noi non interessa però il perché e il come si arrivi a questo. Ciò che importa è che sia esistito, che la Fornace Guerra-Gregorj sia stata un genuino tentativo di fare qualcosa di diverso. La storia – industriale e politica – del nostro Paese non è la protagonista della narrazione di Dario Picariello. Il protagonista è l’eroe senza volto, il Prometeo che in ogni tempo decide di correre il rischio per contribuire al benessere del- la propria comunità.
Perché in fondo cosa vuole dire fallire? Non falliscono mai l’ideale e la passione, ma la loro realizzazione di fronte al peso della Storia. Ciò che è stato – pensato e provato – rimane in tutti coloro che l’hanno vissuto, i quali – arricchiti – spargeranno il seme del cambiamento. Dario Picariello ha il coraggio di rendere omaggio a questa storia non documentandone, ma rielaborando e facendo rivi- vere l’utopia originaria che l’ha determinata. Non vi è perciò alcuna riscrittura agiografica del passato. La decadenza della rovina è però rielaborata in chiave malinconica così da far nascere, impiegando gli elementi dello spazio (laterizi, strumenti della fornace abbandonati) nuove eteree nature morte all’interno delle quali si muovono le figure umane, echi dell’utopia vissuta. A Fuoco Continuo ci aiuta a ripartire dal passato, a tener acceso il fuoco della fornace, in modo tale da poter far nostro e far rivive- re il sogno di un mondo migliore fatto di comunità, lavoro e cultura.
L’invito dell’artista non è perciò a vedere passiva- mente delle opere, ma è un invito a teatro. È chiaro, per tale ragione, che non si dovrebbe parlare dei singoli lavori in mostra, quanto dell’allestimento proposto e fortemente premeditato dall’artista, insieme delle singole opere, dello spazio e del modo in cui sono allestite: anche una cornice ha un significato nella sua ricerca artistica. Del resto Dario Picariello lungi dall’essere un neorealista, come molti scrittori e drammaturghi contemporanei, trae spunto dalla quotidianità e dalla realtà, che poi cala nel suo mondo. La mimesi e la figurazione non interessano di per sé, ma in relazione al loro essere funzionali al significato e alla simbologia, che pervadono tutta la ricerca dell’artista e in cui si scorgono riferimenti alla sacralità e funzione sociale delle tragedie greche, così come una riproposizione dell’arte quattrocentesca toscana, con l’importanza dello spazio teatrale in cui i personaggi sono ritratti.
Tali peculiarità trovano oggi fortunata sintesi nell’ultimo racconto di Dario Picariello, A Fuoco Continuo, incentrato sulla vicenda della Fornace Guerra- Gregorj, quella di realizzare una comunità in cui la fabbrica fosse centro morale e culturale oltre che economico. La cultura e il benessere sociale dei lavoratori potevano essere aspetti non conflittuali ma complementari al ruolo dell’azienda e dell’imprenditore. A Fuoco Continuo è quindi la storia di un sogno, più che la vicenda di un industriale e del fallimento della sua azienda che portò all’abbandono del complesso produttivo.
L’installazione di Dario Picariello ci fa rivivere quel sentimento utopico, attraverso scatti che rielaborano le pose e i personaggi più famosi di Arturo Martini, artista che ha segnato un passaggio stra- ordinario nel cuore creativo della fornace Gregorj, la Sala degli Artisti. Le figure umane dell’artista campano anche in questa storia non rivelano mai il proprio volto, sempre coperto come nella tragedia greca, da maschere. I corpi si fondono e qua- si scompaiono in abbracci e pose plastiche, così come nelle opere martiniane Le Collegiali e La fa- miglia degli acrobati. A Fuoco Continuo si conclude proprio con l’immagine della Sala degli Artisti oggi, abbandonata e in rovina, ma rivissuta dall’artista grazie anche all’opera creata insieme agli studenti del Liceo Artistico Statale di Treviso. Questa è l’unica opera incorniciata, appesa a parete al di là dell’allestimento centrale, perché è la foto che conclude questa storia. La Fornace cessa la sua produzione nel 1963 e, sebbene il complesso sia dichiarato testimonianza preziosa di un vecchio mondo in via di sparizione già nel 1987, versa oggi in uno stato di grave degrado. All’artista e a noi non interessa però il perché e il come si arrivi a questo. Ciò che importa è che sia esistito, che la Fornace Guerra-Gregorj sia stata un genuino tentativo di fare qualcosa di diverso. La storia – industriale e politica – del nostro Paese non è la protagonista della narrazione di Dario Picariello. Il protagonista è l’eroe senza volto, il Prometeo che in ogni tempo decide di correre il rischio per contribuire al benessere del- la propria comunità.
Perché in fondo cosa vuole dire fallire? Non falliscono mai l’ideale e la passione, ma la loro realizzazione di fronte al peso della Storia. Ciò che è stato – pensato e provato – rimane in tutti coloro che l’hanno vissuto, i quali – arricchiti – spargeranno il seme del cambiamento. Dario Picariello ha il coraggio di rendere omaggio a questa storia non documentandone, ma rielaborando e facendo rivi- vere l’utopia originaria che l’ha determinata. Non vi è perciò alcuna riscrittura agiografica del passato. La decadenza della rovina è però rielaborata in chiave malinconica così da far nascere, impiegando gli elementi dello spazio (laterizi, strumenti della fornace abbandonati) nuove eteree nature morte all’interno delle quali si muovono le figure umane, echi dell’utopia vissuta. A Fuoco Continuo ci aiuta a ripartire dal passato, a tener acceso il fuoco della fornace, in modo tale da poter far nostro e far rivive- re il sogno di un mondo migliore fatto di comunità, lavoro e cultura.